Illustration for the story “Albergo a Ore”, from the book “La Vita Come Viene ” written by Mauro della Porta Raffo
Illustrazione per il racconto “Albergo a Ore”, tratto dal libro “La Vita Come Viene” di Mauro della Porta Raffo
ALBERGO A ORE
verso la fine degli anni ottanta una città del nord laggiù, in periferia o quasi.
PARTE PRIMA
Capitolo 1
Proprio quello che cercavo.
Un posto tranquillo, in periferia.
Il classico scannatoio.
Stamattina, appena sveglio, ho letto sul giornale: “Cercasi portiere d’albergo esperto addetto al ricevimento della clientela” e poi il numero di telefono da chiamare.
Uno squillo e mi sono precipitato subito per il colloquio.
Come al solito la mia ‘bella presenza’ ha fatto il resto ed ho avuto il lavoro.
La paga?
Beh, decisamente non molto e naturalmente in nero, ma da troppo tempo sono a spasso senza vedere un quattrino che sia uno.
Va bene così e i pasti sono compresi!
Che si può volere di più?
Prendo servizio domani.
“Ci vediamo alle otto precise”, mi ha detto la proprietaria nel congedarmi.
E’ un tipino piccolo e formoso che deve aver visto tempi migliori ma si tiene su. Capelli scuri con qualche traccia di grigio, occhi marroni che ti guardano sorridendo, belle manine curate e un corpo mica male.
Si chiama Gilda e da come mi ha guardato penso abbia fatto un qualche pensierino su di me.
Staremo a vedere…
Mi ha portato a visitare l’albergo: quindici stanze distribuite su tre piani e non poi da buttare se si riesce a non far caso alle macchie sulla tappezzeria e alle tende di plastica, decisamente da sostituire.
L’ascensore è di quel tipo vecchio, sistemato all’interno delle scale che gli girano intorno, circondato da un’inferriata e con le porte ai piani che si devono aprire a mano.
All’ingresso nelle camere qualche pianta finta con fiori anch’essi di plastica e, alle pareti, le solite stampe.
Durante il colloquio ho cercato naturalmente di stare sul vago per quanto possibile e sono riuscito a non farle capire che di esperienza specifica non ne ho neanche un’ombra.
Ho accennato a qualche altro precedente lavoro inventato lì, sul momento: rappresentante, produttore di assicurazioni e così via…
Ma non mi stava quasi a sentire.
Per me (e l’ho pensato subito), aveva deciso che gli andavo bene come mi aveva visto.
Adesso si tratta di passare in qualche modo la nottata.
Non le ho voluto dire subito che sono a spasso, senza fissa dimora da quando ho dovuto andarmene da casa.
Domani vedrò cosa si può fare per risolvere il problema.
Capitolo 2
“Eccomi qua, signora”.
Sono le otto meno dieci. Arrivo sempre in anticipo agli appuntamenti, se appena posso.
Non l’ho fatto perché abbia una buona impressione di me, no.
E’ solo che non sopporto di farmi aspettare o di attendere, in ogni caso.
“Signora?… Non mi chiami così. Il mio nome è Gilda, mi sembrava di averglielo già detto” e sorride.
“Va bene, Gilda, che ne dice di insegnarmi qualcosa?”
Mi prende in parola e, così, passiamo un po’ di tempo a vedere come funzionano i citofoni, come si passano le comunicazioni telefoniche con le camere, ad esaminare i registri che stanno negli scomparti del bancone, ecc. ecc.
“Senta”, mi fa ad un certo punto, “venga sul retro che le faccio conoscere la cameriera” e si avvia verso il fondo del locale facendomi strada.
Una gran bella ragazza!
Si chiama Francesca ed è di origine calabrese: proprio il tipo moro e tutto curve che mi piace.
“Non si faccia venire cattive idee”, mi fa Gilda come leggendomi nel pensiero, “la nostra Francesca ha un marito gelosissimo ed è fedele… meglio lasciar perdere”.
Dico due o tre frasi di circostanza e, sempre preceduto dalla padrona, me ne torno all’ingresso e mi infilo dietro al bancone.
“Si ricordi, quando arriva qualche cliente si faccia dare subito i documenti, ancora prima di passargli la chiave della camera e, poi, aspetti ad annotarne la presenza sul registro.
Se si tratta di coppiette in cerca di intimità è inutile scrivere.
Non vogliamo certo pagare le tasse se si può evitarlo, no?
Con il tempo, vedrà, sarà in grado di capire subito il tipo di cliente.
Comunque, se ci fossero problemi, io sono sempre a portata di voce, nella stanza accanto, e così…”
Va bene, nulla di veramente difficile.
In due minuti mi sono impadronito del mestiere, o almeno mi pare.
“La lascio solo, ci vediamo più tardi.
Tanto a quest’ora di solito c’è calma.
Imparerà che la gente segue degli orari fissi” e sparisce.
Mi siedo sullo sgabello ed aspetto guardando ogni tanto fuori attraverso la porta a vetri.
La strada è già affollata, piena di macchine in coda dirette verso il centro cittadino.
“Beh”, penso, “con tutto quello che mi ha detto e con le spiegazioni che non ho potuto fare a meno di chiederle è certo che si è accorta che non ho nessuna esperienza, ma è anche sicuro che le vado bene lo stesso”.
Capitolo 3
La prima sera.
Sono quasi le otto.
Una bella tirata e una noia mortale.
Ho conosciuto i quattro o cinque clienti abitualmente residenti, ho visto partire una coppia in lite furibonda e basta.
Un sacco di tempi morti.
Verso le cinque del pomeriggio, sono entrati due ragazzini, pieni di paura, preoccupati.
Gli ho fatto un sorriso (mi andava di incoraggiarli) e gli ho dato la chiave del ventuno.
Per una sua qualche ragione, Gilda mi ha detto che quella è la prima stanza per quelli che vengono “per una scopata e via”, come si è espressa un po’ volgarmente.
Di certo non mi sono sbagliato: i due non avevano bagaglio e poi il loro atteggiamento diceva tutto.
Infatti, un’ora dopo se ne sono andati e così non li ho segnati per niente sul registro.
In questi casi l’ordine è di far pagare il settanta per cento del prezzo della camera. Soldi buoni, comunque, incassati senza che lo sappia nessuno.
Mi sa che se capita spesso dovrò chiedere una percentuale.
Non mi pare una cattiva idea.
Mentre quei due erano di sopra, affaccendati, ho dato una bella occhiata alle loro carte d’identità.
Niente di speciale: impiegati.
Non avranno saputo dove andare e così…
“Gilda, io me ne vado.
Mangio un boccone da Amilcare e ci vediamo domattina. Buonanotte”.
Esce dall’altra stanza per rispondere al saluto, mi sorride ancora e ciao.
‘Amilcare’ è una specie di trattoria scalcinata, lì, a due passi dall’albergo, dove i dipendenti di Gilda mangiano pranzo e cena, se vogliono.
Il proprietario, che si chiama davvero Amilcare, è un bel trippone milanese, con baffi a manubrio come non ne vedevo più da secoli e ha fatto una specie di accordo con l’albergo.
Abbiamo diritto a un piatto di pasta o di riso, a una fettina di carne trasparente, a due patate o a un po’ di verdura.
Niente vino, solo acqua naturale in una brocca, niente formaggio ed una mela per frutta.
Sembra si sopravviva anche così!
Bisogna che mi decida a chiedere a Gilda se mi fa dormire nello scantinato dell’albergo.
Ho visto che ci posso sistemare una branda e con due coperte…
Sempre meglio che sdraiarmi su qualche panchina in una stazione per passare la notte.
Bene… tra qualche giorno, quando saremo più in confidenza…
Capitolo 4
Sono allo Splendor da una settimana, oramai.
Ah, già, si chiama così l’albergo: Splendor, e ci vuole un bel coraggio ad avergli dato quel nome.
Le cose vanno abbastanza bene e devo solo cercare di far fronte alla noia.
Buoni i rapporti con la padrona, formali e distanti (purtroppo) con Francesca con la quale al massimo sono riuscito a scambiare qualche sorriso da lontano, simpatia con i clienti abituali, cordialità di facciata con le coppiette che continuano ad arrivare numerose.
Una sola cosa mi dà veramente fastidio.
L’altro giorno, purtroppo, si è presentata una coppia di gay.
Ho dovuto fare buon viso a cattivo gioco, come si dice, ma queste cose mi disgustano.
Sarò un retrogrado ma spero che non si facciano più vedere.
Dopo, quando ho detto della cosa a Gilda, mi sono sentito rispondere che “capita, molto raramente, ma capita.
E, d’altronde, dove dovrebbero andare?”
“Da ogni altra parte ma non qui”, le ho risposto e lei si è messa a ridere.
Guardo sempre con attenzione i documenti degli ‘scopatori’ ed annoto mentalmente le professioni.
Niente di speciale, per ora.
Di tanto in tanto, arrivano quelli della polizia che sono vecchi amici di Gilda.
Danno un’occhiata pro forma al registro, controllano qualche nome stancamente e se ne vanno.
Oramai, li conosco bene anch’io: sono sempre gli stessi due.
Dimenticavo: dal terzo giorno o, meglio, dalla terza notte, dormo nello scantinato. Meglio così!
Ho rimediato un lettino di quelli pieghevoli ed uso un paio di scatoloni come armadio.
Tanto, per quel poco che mi è rimasto…
Capitolo 5
Ho fatto amicizia con Amilcare e con il cameriere che lo aiuta.
Discutiamo di calcio e di politica, naturalmente, e litighiamo bonariamente su tutto.
Lui è per la Lega, neanche a dirlo.
Io, quelli non li posso soffrire.
Lui, poveraccio, fa il tifo per l’Inter.
A me del calcio non interessa praticamente un bel nulla in realtà, ma soffro di antipatie e quella squadra, chissà perché, mi sta proprio sullo stomaco.
Danilo, l’aiutante factotum, è siciliano e se ne sta zitto zitto quando il suo capo inneggia alla Lega.
So ben io cosa gli frulla per la testa!
E’ tifoso del Palermo e questo non dà fastidio a nessuno.
Da Amilcare mi fermo tutte le sere fin verso mezzanotte.
Guardo la televisione per passare il tempo finché non è uscito l’ultimo cliente e, poi, magari, facciamo qualche partitina a scopa o a briscola, testa a testa.
Gli pelo qualche lira.
Non ha una buona memoria e quando si arriva alle ultime carte so quello che ha in mano e non ci sono santi per lui.
Ieri mi sono giocato una bistecca.
“Di quelle buone”, gli ho detto prima della partita e così oggi sono un po’ più sazio.
I clienti di Amilcare sono i nostri.
Se non proprio gli stessi, del medesimo tipo e ceto.
Gente che gira per lavoro con quattro soldi in tasca.
Le mura sono sue (me l’ha confidato subito, orgogliosamente, quando fra noi si era appena creato un minimo di feeling) e cosa vuoi che spenda per la gestione? Due lire.
Non dà nell’occhio a nessuno e sta benone.
Ha una moglie grassa come lui e sempre pronta alla risata.
O, almeno, con me ride le poche volte che la vedo.
Mi sto creando una nuova vita, nuove abitudini in un ambiente totalmente diverso da quelli ai quali ero precedentemente assuefatto.
Studio come sopravvivere e per il momento sembra che mi riesca.
PARTE SECONDA
Capitolo 1
Oggi sono quindici giorni che lavoro allo Splendor e ho preso la mia prima paga, diminuita di quel po’ che mi ero fatto anticipare quasi subito con una scusa.
Mi sa che li metto via questi soldi: sembra che non ne abbia proprio bisogno se non per la tintoria dove porto, ogni tanto, le mie poche cose a lavare.
Per il resto, niente.
Non ho donne da mantenere, non più famiglia, nessun vizio residuo dopo averli provati tutti se si escludono droghe ed alcool.
Un paio di notti fa, seguendo il più classico dei copioni, Gilda facendo finta di avere qualcosa da cercare in cantina è venuta a trovarmi.
Si deve essere fatta forza per vincere una certa timidezza che ho scoperto in lei e che contrasta con quanto avevo supposto quando l’avevo vista la prima volta.
“Cosa si aspetta da me?”, le ho chiesto cercando di usare un tono gentile ma di chiarire, nel contempo, la situazione.
Oramai sono così.
Preferisco sapere cosa vuole la gente.
Non mi va più di immaginare, di supporre.
No, meglio chiedere, anche se in questo modo rischio di apparire brutale.
“Niente”, mi ha detto non poco sorpresa dalla mia domanda, “devo andare in cantina e allora…” e poi è scesa davvero e non l’ho vista se non una decina di minuti dopo.
“Non è stato affatto gentile, lo sa?”, mi ha detto tutta sostenuta.
Improvvisamente mi ha fatto un poco di pena e allora mi sono avvicinato e l’ho abbracciata.
Nessuna resistenza, naturalmente, come prevedevo.
Anzi, è stata lei a baciarmi.
Dopo, alzandosi dal letto per tornare in camera sua, mi ha dato un altro bacio.
Speriamo bene.
Non ho più voglia di complicazioni e sono già pentito.
Sarebbe stato meglio mantenere un certo distacco, un diverso rapporto.
Non sento proprio la necessità di un nuovo legame.
Bastano e avanzano quelli che ho già avuto.
E così, il giorno dopo ho cercato di porre un freno alla cosa senza ferirla.
Alto equilibrismo!
Ho accennato a delusioni, alla mia insicurezza…
Le ho detto che sarebbe stato meglio per lei non avere per me quel tipo di sentimento: “Non sono affidabile, sai?
Un giorno sono qui e domani, magari, sparisco.
Meglio non prendermi sul serio.
E’ stato bello ma non proviamoci più”, eccetera, eccetera, eccetera.
Ho il tono giusto per queste cose, lo so, ed anche stavolta sembra aver funzionato.
Capitolo 2
E’ passato un mese e mezzo.
La noia è sempre più insopportabile!
Non sapendo che fare per ammazzare il tempo, ho comprato un mucchio di libri gialli e tutte le riviste di giochi enigmistici in circolazione.
Da qualche giorno, ho cominciato a fare le fotocopie delle carte d’identità delle coppiette.
Mi sa che inizio una collezione e intanto stendo delle statistiche.
Finora, nel poco tempo trascorso, operai, impiegati, casalinghe, un dirigente d’azienda e tre studentesse.
Quattro residenti in città e gli altri, quasi tutti, di paesi della provincia.
Luogo di nascita prevalente: Milano.
Sono tornati i due gay.
Uno è di Varese (quello alto, magro con la barbetta) e l’altro è di Roma (grassottello e imberbe).
Naturalmente, ho fotocopiato anche i loro documenti e sto studiando cosa farne.
Mica male se ne mandassi copia ai loro familiari, così, tanto per sputtanarli.
E’ certo che si nascondono.
Non sono dichiarati.
Se no non si incontrerebbero in questa semistamberga.
Ci devo pensare…
Con Gilda tutto bene.
Mi lancia, ogni tanto, qualche occhiatina ma faccio finta di nulla.
La brevissima storia che abbiamo avuto non sembra aver lasciato traccia nel nostro rapporto.
Molto meglio così.
Capitolo 3
Ieri, mercoledì, giorno di chiusura di Amilcare per il risposo settimanale, sono andato un po’ in giro per la città.
Giusto per vedere il centro e per mangiare un boccone da qualche altra parte.
“Quattro passi fanno sempre bene”, mi sono detto ed ho subito maledetto la mania che ho delle frasi fatte.
Difficile, però, non usarle.
Bene, comunque dopo poco più di un’ora ero bello e stufo della città e me ne sono tornato verso la mia periferia.
Man mano che procedevo, sempre peggio.
Puttane di tutte le razze, travestiti, prostituti e mezzani, spacciatori.
Proprio un bell’ambientino.
E le macchine, poi.
Non saprei dire quante, ferme a contrattare, con gli occupanti fuori dal finestrino. Gente di ogni tipo.
Non sono mai andato a puttane in vita mia, per non parlare del resto, e sono sempre più convinto che non ci andrò mai.
Pagare una donna?
Prostituirsi?
Come è possibile cadere tanto in basso?
“Ma dov’è la polizia?”, ho pensato.
“Come mai buona parte della città è in mano a questa gente?
Qui non ci torno più e amen”.
Mi è sembrato di intravedere Danilo, su una vecchia cinquecento scassata, che cercava compagnia.
“Poveraccio”, mi sono detto e, poi, subito, “Macché: somaro, non poveraccio!
Non è capace di trovarsi uno straccio di donna?”
E così sono tornato allo Splendor abbastanza sul presto.
La porta era ancora aperta e Gilda sedeva dietro al bancone, come fa ogni sera quando smonto io.
“Ciao”, le ho detto avviandomi verso il sottoscala.
“Senti”, mi ha fatto lei, “fermati a farmi compagnia, almeno un minuto, no?”
Va bene, siamo stati circa un’oretta a chiacchierare ed ho brillantemente resistito alla sua opera di investigazione.
Vuol sapere cosa ho fatto prima nella mia vita, se sono stato sposato e se ho figli, come mai conosco un sacco di roba (anche se ho cercato di star sempre sulle mie, qualcosa viene per forza fuori e lei scava) e così di seguito.
In questi momenti seguo la trama di un film e racconto la vita del protagonista arricchendola un po’.
E’ un buon sistema perché si conosce la storia e basta ricordarsi di che film si tratta. Così nessuno si accorge che sono tutte balle.
A me la sua vita precedente non interessa per nulla, ma, insomma, dopo il nostro colloquio, ne sapevo molto più io su di lei che il contrario.
E’ vedova, naturalmente, suo marito le ha lasciato lo Splendor…
Alla fine, però, ho ceduto e mi sono fatto accompagnare nella mia branda.
“Che ci posso fare?”, ho pensato, “mi fa quasi pena e, in fondo, non è neanche male”.
Ma gliel’ho ripetuto che non deve farci l’abitudine.
PARTE TERZA
Capitolo 1
La cartella nella quale sistemo le fotocopie dei documenti dei clienti dello Splendor è alta così.
Visto che spesso sono gli stessi che ritornano, ho anche preso un quaderno sul quale segno le date di tutte le loro visite.
Si è aggiunto qualche personaggio più interessante che ho incluso nel mio ‘casellario’: un paio di professionisti mica male a giudicare dai vestiti e dal rotolo di banconote che tirano fuori di tasca quando devono pagare, uno di quegli industrialotti della Brianza che sembrano usciti da una barzelletta.
Delle donne, solo un paio meritano una seconda e, forse, una terza occhiata.
Le ho annotate a parte e le seguo con interesse.
Una è già tornata tre volte con il suo accompagnatore.
Giurerei che si tratti della segretaria anche se sul suo documento c’è scritto ancora ‘studente’.
Insomma, vado sul classico pensando al rapporto che c’è tra i due.
La seconda è una signora di quarant’anni, di Milano.
La sua carta d’identità riporta un indirizzo tra i migliori in città.
Veste molto bene e incrocia, ogni volta, proprio sulla porta dell’albergo, un bel giovanotto che decisamente invidio molto.
La tratto con molta gentilezza: non si sa mai.
Capitolo 2
Ho già pensato a come comportarmi se per caso all’albergo si presentasse qualcuno che mi conosce anche se so benissimo che la cosa è molto, molto difficile considerando che mi trovo lontano abbastanza da casa.
Ma bisogna essere preparati.
Beh, intanto, se si trattasse di uno venuto solo per scopare, mi troverei psicologicamente io in vantaggio.
Non gli converrebbe mai far segno di avermi riconosciuto, né poi raccontare a qualcuno dove mi ha visto.
Se fosse un cliente, diciamo così, normale – cosa decisamente impossibile visto il livello dello Splendor e il ceto sociale dei miei vecchi sodali – dovrei semplicemente chiedergli di tacere, di tenermi bordone.
Credo che capirebbe.
Lo so lo so, è difficile che accada, ma passo il tempo ad immaginare ogni possibilità. Anche le frasi da dire, così da non essere mai sorpreso del tutto.
Intanto, ho cominciato a far crescere la barba, come ai tempi dell’università, mi sono messo a dieta, sono dimagrito un quattro, cinque chili.
Mi sento anche meglio fisicamente.
Capitolo 3
Ieri mi sono deciso.
Dopo che, per la quarta volta, a distanza regolare di quindici giorni, sono ritornati i due omosessuali, ho fatto un’altra fotocopia dei loro documenti nonché una brevissima relazione scritta in stampatello, cercando di alterare la mia grafia il più possibile per renderla difficilmente riconoscibile, e ho spedito il tutto indirizzando ai “familiari di…”
“Speriamo che qualcuno gli faccia un didietro così!”, mi sono detto, sorridendo tra me, mentre imbucavo le due lettere.
Questa storia, nel frattempo, mi ha fatto maturare qualche altra idea che riguarda gli scopatori più in grana.
Può essere soltanto, diciamo così, un’ipotesi letteraria da non mettere in pratica, ma ci devo ragionare sopra un po’ meglio.
Mi sa che se mi comporto nel modo giusto, c’è da alzare qualche lira.
PARTE QUARTA
Capitolo 1
Negli ultimi giorni, ho cercato di dedicarmi a Francesca.
Senza parere, le capito d’attorno mentre sbriga le faccende, le faccio qualche complimento elaborato.
Tutto un lavoro di fino.
Lei ride, arrossisce, a volte sembra non capire fino in fondo.
A pensarci bene, non so neppure perché ci sto perdendo tempo.
Forse soltanto per ammazzare la noia.
Certo che a Francesca posso parlare solo quando Gilda è fuori.
Altrimenti, è meglio non provarci neppure perché, davanti alla padrona, fa finta di non sentire.
Fiato sprecato e, poi, naturalmente, anche per me è meglio che Gilda non si inquieti.
Stiamo a vedere cosa succede (mi rendo conto solo adesso che dico sempre così!) e lasciamo maturare le cose.
Certo, quel che bisogna assolutamente evitare è il dramma.
Perciò, chiaramente, niente amore, niente sospiri, niente passioni…
Anzi tutto è da impostare esclusivamente sul piano fisico.
Magari, con qualche tenerezza di quando in quando.
Quella non fa male.
Se trovi la persona giusta, è il rapporto migliore: quasi del tutto privo di problemi e di successive tensioni.
Capitolo 2
E’ tornata la ‘quarantenne in carriera di magnifico aspetto e di grande stile’ (così l’ho ribattezzata, ma si chiama Veronica F.).
Come avevo programmato, ho cercato di farle capire quanto mi abbia colpito e sono stato galante, quasi ignorando il suo accompagnatore, il quale, per quel che ne penso, deve essere un gigolo o qualcosa di simile.
Non so se ho fatto bene.
Certo, ho visto, il mio atteggiamento le è piaciuto ma adesso può anche capitare che non si faccia più vedere.
Già in una situazione normale, troppa intimità con il portiere dell’albergo non va certo bene per donne di quel tipo e figurarsi quindi se frequentano l’hotel solo per fare l’amore…
Quando se n’è andata mi è sembrato che mi lanciasse un’ultima occhiata.
Vedendola così, di profilo, verso la porta, chissà come, per un attimo, sono stato sicuro di averla conosciuta già prima, come in un altro mondo.
Sto almanaccando su di lei e sul suo comportamento e, quasi, quasi, sono arrivato alla conclusione che anch’ella, malgrado il mio travestimento, si stia chiedendo dove mi abbia visto.
Capitolo 3
Uno dei cinque clienti abituali (li chiamo ‘i residenti’) è uno scrittore o, almeno così appare dal suo passaporto e se ne sta chiuso in camera quasi tutto il giorno.
Francesca mi dice che batte continuamente a macchina e ho visto dalle lettere che mi lascia da spedire e da quelle che riceve, che ha una fitta corrispondenza con diverse case editrici e qualche rivista.
Si chiama Alvaro S. ed è di origine friulana.
Ha trentasette anni e ancora si illude, poverino.
Ho cercato di fargli capire come vanno le cose nel mondo editoriale, ma, nello stesso tempo, non ho voluto essere troppo brusco.
Si meraviglia delle mie competenze e da quando, scherzando, gli ho detto che “so tutto sulla letteratura e sulla storia”, mi mette spesso alla prova.
Si prepara le domande cercando prima le risposte per controllare bene quel che gli dico.
Per giustificare le mie conoscenze, gli ho raccontato che sono il frutto di una vita passata a leggere per usare in qualche modo il molto tempo a disposizione e mi sono inventato anni di lavoro come portiere di notte senza quasi nulla da fare se non, appunto, leggere.
L’ha bevuta o ha fatto finta e da allora mi chiama ‘professore’.
Gli altri residenti non hanno nulla di speciale.
Tutti scompaiono nel fine settimana. Penso se ne tornino a casa.
Alvaro, invece, è sempre qui e ogni mese riceve una raccomandata da suo padre (ho letto il nome del mittente) e, subito dopo, lo vedo molto più in grana.
Le lettere provengono da Vienna e ho cercato di fargli raccontare qualcosa al riguardo ma glissa.
Ci sarà sotto qualche storia di liti familiari e di incomprensioni?
PARTE QUINTA
Capitolo 1
Oggi è il mio compleanno e capita proprio di mercoledì.
Ieri sera, Amilcare, la moglie e Danilo hanno voluto festeggiarmi anticipatamente, prima della chiusura serale del locale.
Una bella crostata con la canonica candelina, un bicchiere di spumante dolce che non potevo sopportare ma che ho assaggiato per gentilezza.
Verso le venti, smontato dal lavoro ed avendo resistito all’invito di Gilda “per una seratina insieme”, ho preso il tram per il centro.
Sono passati almeno due mesi dall’ultima volta che ci ho messo piede e così ho pensato di festeggiarmi là, magari con una cenetta ed un cinemino.
Mi è bastato non guardarmi d’attorno durante il tragitto e far finta che le puttane e i trans con tutto il loro codazzo non esistessero.
Eccomi qui all’Excelsior.
Danno un film dei bei tempi (è un cinema d’éssai vicino all’università) e me lo sto godendo quando, nel buio, mi sembra proprio di vedere Veronica.
E’ insieme ad un tipo molto più anziano di lei.
Il marito?
Beh, se fosse così, anche per lei saremmo sul classico.
Una storia comune, come ce ne sono tante.
Aspetto che ci sia un po’ più di luce per controllare.
Come arriva l’intervallo, facendo finta di nulla mi avvio verso la toilette e la vedo ben bene.
E’ proprio Veronica e, naturalmente, finge di non conoscermi.
Torno al mio posto e la guardo proprio in viso.
Magnifica! e tiene la mano sul braccio del suo vicino con molta tenerezza.
Chissà?
Mi viene voglia di saperne di più e, seduto, non seguo più che distrattamente quel che avviene sullo schermo.
Sto riflettendo: devo trovare il modo di frequentarla.
Ma ci vuole delicatezza.
Capitolo 2
Figurarsi se non lo so che certe cose vanno fatte con estrema attenzione, con circospezione, saggiando in anticipo il terreno e cercando di prevedere ogni possibile evoluzione.
Come reagirà Tizio?
Che dirà o che farà Caio?
E così via.
Con tutte le esperienze che ho avuto, con tutti i film visti, con tutti i libri che ho letto!
Da giorni mi sto arrovellando: devo trovare il modo di sfruttare le notizie in mio possesso e soprattutto le copie dei documenti per tirare su un po’ di soldi.
No, non è che sia avido e non sono neppure un ricattatore di professione.
Ma, diamine, non approfittare della situazione sarebbe proprio da fessi.
Allora, facciamo un breve riepilogo:
‘Elenco degli scopatori abituali:
Veronica F.: ho deciso di andarla a trovare con il solo intento di portarmela a letto. Troppo bella ed interessante.
Roberto C.: è l’industriale brianzolo.
Dal documento risulta coniugato e con figli minorenni. Per quel che riguarda le sue abitudini, preferisce le prostitute e ogni volta ha una compagna diversa.
Franco P.: piccolo, paffuto, mi ricorda un amico d’infanzia.
E’ gentile e pieno di premure verso la sua amichetta fissa.
Libero professionista, entra ed esce sorridendo.
Mi sta simpatico.
Antonio Q.: di origine argentina.
Manager, per quel che questa abusata parola vuol dire.
Comunque, pieno di soldi che mi piacerebbe fargli sparire di tasca.
Anche lui ha un donna fissa, una casalinga.
Carmelo V.: il classico boss meridionale con disponibilità economiche decisamente elevate.
Gusti orribili, assoluta ineleganza, ma pericoloso, molto pericoloso.
Meglio scordarselo questo.
Eccetera, eccetera, eccetera.
Devo riconoscerlo, da tutte quelle fotocopie ed annotazioni, non molto di interessante e qualcosa di assai poco manovrabile.
Quattrini facili in vista con la spesa, piccola piccola, di un qualche ricattuccio? Sembra proprio di no.
Alla fine, l’occasione migliore me l’avevano data i due gay, ma me la sono bruciata subito.
Insomma, avrei potuto architettare qualche cosa di meglio e di più vantaggioso piuttosto che cedere al ribrezzo ed alla voglia di nuocergli.
A proposito, dopo la spedizione di quei brevi rapporti “ai familiari di…”, non si sono più fatti vedere allo Splendor.
Almeno, questo risultato l’ho ottenuto.
Piano di lavoro (ogni esame di situazione va concluso così, con un piano di lavoro. Fosse pure per decidere di lasciar perdere il tutto): da adesso in poi, anche per occupare il mio giorno di libertà settimanale, investigazioni a tappeto su quei tali e, fra qualche tempo, un nuovo bilancio.
Capitolo 3
Devo proprio dirlo: se la mia intenzione era quella di crearmi una diversa vita, un nuovo tran, tran, una differente monotonia, sembra che ci sia riuscito.
Oramai, sono qui da un sacco di tempo.
Mesi e mesi e, a parte qualche ‘incontro’ con Gilda (per ricordarmi che sono vivo, dopotutto), niente di straordinario.
Giornate tutte uguali tra loro…
Mi chiedo se era proprio questo che volevo.
PARTE SESTA
Capitolo 1
Mai lamentarsi perché “non succede niente di nuovo” e ci si annoia.
Dopo quasi una settimana, ho ripreso in mano queste mie note e, alla luce di quanto successo, ho riletto scuotendo la testa le righe con le quali avevo chiuso il precedente capitolo.
Bene, le ultime giornate sono state tutto meno che monotone e, in qualche modo, preoccupanti.
Può darsi che si sia vicini a una svolta.
Ci sono tutti gli indizi che la pace nella quale abbiamo vissuto per mesi stia per finire..
Ho finalmente conosciuto il dottor Beltrame – ma in un contesto che mi ha lasciato alquanto perplesso – ed è comparso una specie di ‘Dick Foley’.
Capitolo 2
Dal primo momento, Gilda mi aveva fatto notare che, dietro il bancone su un fogliettino appeso alla parete, c’erano tre o quattro numeri telefonici da chiamare in caso di necessità e d’urgenza.
Fra gli altri, appunto quello del Beltrame: un medico generico, a quel che avevo capito, che abitava vicino all’hotel e pronto ad intervenire senza fare troppe storie in caso qualcuno allo Splendor stesse male.
La preoccupazione di Gilda (ed anche mia, da quando mi occupavo della reception) era che un poveraccio, per non parlare di una coppietta come quella cantata dalla Vanoni, scegliesse proprio una delle camere dell’albergo per tagliarsi i polsi o ingurgitare qualche veleno e cercare di andarsene all’altro mondo.
A parte il dispiacere e lo spavento, un mucchio grosso così di conseguenti problemi e, prima di tutto, l’inevitabile e sgraditissimo intervento della polizia che – regola del gioco non scritta ma a tutti nota nell’ambiente – è sempre bene non venga chiamata (ed ecco la necessità di avere un dottorino veloce e soprattutto ‘amico’ al punto di accettare di chiudere un occhio e di non denunciare l’accaduto), almeno nel caso in cui all’atto non faccia seguito la morte.
Beh, alla fine si era sentito male un tale arrivato da poche ore.
Dai documenti, un agente di commercio che, e mi era parso ben strano, al momento di chiedere una camera non aveva però con sé nessuna valigetta contenente il campionario.
Sembrava fosse già fuori combattimento nel pomeriggio.
Lo stomaco, secondo quanto farfugliato a Gilda, dopo.
L’aveva chiamata con il citofono per avere una camomilla e una pillola purchessia.
Il peggio, poi, di notte, al buio: è allora che la solitudine più violentemente ti opprime e i dolori diventano davvero insopportabili.
Beltrame è arrivato in pochi minuti.
E’ di mezza età e media statura, nervosetto mi è parso (ma forse lo scocciava il fatto di essersi dovuto alzare in piena notte), con un forte accento meridionale.
Mi ha guardato di traverso, quasi gli stessi in qualche modo sulle scatole, e poi ha chiesto se sapevamo chi fosse il malato.
Al nostro diniego, si è avviato verso l’ascensore borbottando tra sé.
Meno di un’ora ed eccolo ridisceso.
Si è appartato con Gilda per confabulare alquanto animatamente.
Alla fine, dopo avermi rivolto appena un cenno di saluto con la testa ed avere strappato alla stessa Gilda – che, sulle prime, sembrava non ne volesse proprio sapere – un paio di centoni ‘per il disturbo’, se ne è andato.
“Tutto bene?”, ho chiesto alla padrona.
“Sembra di sì.
Quel tale sta meglio. Il dottore dice che gli ha fatto un’iniezione antidolorifica. Adesso sarà bene cercare di riposare un po’ anche noi’”.
Mi è sembrata preoccupata, oltre che infastidita, per un qualche motivo ma non ho insistito.
C’è qualcosa che non va e che vuole tenere per sé: faccia pure.
Capitolo 3
Il giorno dopo (evento straordinario: non era mai successo) ecco un secondo, nuovo cliente che intende fermarsi “qualche tempo” come ha detto, senza che nessuno glielo chiedesse, nel prendere una camera.
Mi ha dato la patente, così non so che mestiere faccia, ma, a naso, scommetterei che si tratti di un ex poliziotto o di un ex carabiniere.
E’ stato via per gran parte della prima giornata.
La mattina di poi è sceso verso le nove e – altra novità assoluta visto che non mi ricordavo di nessun altro che lo avesse fatto mai me presente – si è seduto nella poltroncina che sta di fronte al bancone della reception, a leggere un giornale.
Da lì può controllare (non saprei quale altro verbo usare: mi pare proprio una specie di spione) sia l’ascensore che l’entrata.
L’ho guardato con una qualche riprovazione, ma non mi è riuscito di metterlo a disagio e di farlo sloggiare.
Fra l’altro, se una delle ‘nostre’ coppiette decide di mettere dentro la testa e lo vede, addio…gira i tacchi subito e se ne va!
Male, molto male per gli affari.
In qualche modo, mi ha ricordato uno dei personaggi minori di Dashiell Hammett, un detective privato di nome e cognome Dick Foley.
Come lui è piccolino, scattante, pieno di verve.
Ho sperato (invano, l’ho costatato subito dopo) che fosse anche altrettanto taciturno.
Mi ero appena detto: “Va bene, lo soprannominerò Dick”, che mi ha rivolto la parola.
“Mi chiamo Mirko”, ha cominciato poggiando il giornale per terra e cercando di mettere in piedi un discorso.
Avrei potuto rispondergli che lo sapevo visto che così stava scritto sul documento, ma non ho reagito se non guardandolo interrogativamente e così è andato avanti.
Si vede lontano un miglio che cerca notizie su qualcuno o qualcosa.
A meno che non sia molto ma molto furbo, non su di me (mi pare sicuro) altrimenti non mi avrebbe preso di petto come sta facendo.
Ha cominciato a sondarmi facendo finta di niente, come stesse cercando il modo di ammazzare il tempo.
Naturalmente, gli è andata buca.
Gli ho risposto solo a gesti, a smorfie e a monosillabi: “Si, no, mah…”
Alla fine si è accorto che non cavava un ragno da un buco e, con la delusione dipinta in faccia, ha ripreso il giornale in mano.
Gilda…Ecco, Gilda ogni volta che gli è capitato di passare lo ha guardato con evidente fastidio.
Avrà pensato anche lei che collocato com’era quel Mirko ci rovinava la giornata lavorativa, o almeno così ho immaginato che fosse.
Capitolo 4
Quel Mirko/Dick Foley me lo sono ritrovato a cena da Amilcare.
Entro ed eccolo lì che parla col baffone come se si conoscessero da sempre.
Evidentemente con quel pacioccone del ristoratore gli è andata bene e scommetto che sono ore ed ore che lo fa chiacchierare.
Ho fatto finta di niente, ho salutato con un “Ciao” Amilcare, la moglie e Danilo e mi sono seduto al solito tavolino.
“Che c’è da mangiare stasera?”, ho chiesto.
“Minestrone”, mi ha risposto sorridendo proprio Mirko, “l’ho ordinato anch’io”.
Ha fatto due passi e mi si è seduto di fronte: “Non ti dispiace, vero?”
Una brutta serata: non voglio che mi si dia del tu senza il mio consenso, non mi piaceva la situazione, odio il minestrone con tutto me stesso!
Non mi restava altro da fare che cercare io di carpirgli le ragioni della sua improvvisa comparsa.
Chissà: proprio il fatto che volesse tanto ardentemente parlare con me lo avrebbe forse portato a sbottonarsi…
Nel frattempo, almeno: “Ehi, Amilcare, scusa, ma non potresti dire a tua moglie di prepararmi qualcos’altro?
Magari anche solo due fette di prosciutto.
Preferisco stare leggero”.
EPILOGO?
Capitolo 1
Un treno, sempre meglio prendere un treno.
Ti perdi tra i viaggiatori, dormicchi in un angolo senza parlare con i compagni di viaggio, quasi ti nascondi e nessuno, salvo casi eccezionali, ti nota.
Forte di questa ispirata conclusione, da almeno tre ore bivacco nel bar della stazione, quella centrale da dove partono i convogli verso il sud.
Ho deciso infatti che, prima di salire in una qualsiasi carrozza e filarmela, devo finire di scrivere: è necessario che il dottor Berlucchi sia informato di quel che penso a proposito di quanto accaduto l’altro ieri allo Splendor.
Anzi, meglio, del come mai, alla fine, tutto sia andato a farsi benedire.
In nessun caso, prima d’ora, ho pensato che queste mie memorie potessero finire nelle mani di un magistrato per cercare di chiarire le ragioni, le cause di quello che ha tutta l’aria di essere un duplice tentativo di omicidio, per fortuna fallito.
Capitolo 2
‘Caro dottore,
le allego, come può constatare, le annotazioni che ho iniziato a vergare praticamente dal momento in cui, oramai molto tempo fa, ho preso a lavorare allo Splendor nonché le famigerate fotocopie dei documenti dei frequentatori non abituali delle quali parlo a più riprese nel testo (e non mi chieda come mai le une e le altre siano ancora in mio possesso perché non potrei rispondere a tale quesito se non tradendo un amico che è stato così gentile da prelevarle per me dal nascondiglio nel quale le celavo all’hotel).
Non ho apportato alcuna variazione all’originale perché mi sembra giusto che lei abbia un quadro il più possibile veritiero della situazione che, mano, mano, è andata maturando e in conseguenza della quale, a mio modo di vedere, si è arrivati al patatrac.
Le aggiungo, però, quel che ho pensato, arrovellandomi il cervello, nelle ultime trentasei ore.
Da quando, l’altra sera sul tardi, rientrando da uno dei miei rari giretti in centro città, ho visto che davanti all’albergo c’erano ben due ambulanze e una pantera della polizia, come sa considerando che non riesce a trovarmi, mi sono fatto uccel di bosco. A ragione, temo, e non solo per i miei trascorsi dei quali preferisco non parlare e in particolare con lei.
Uno dei presenti (al solito e malgrado l’ora, si era radunata una piccola folla), al quale, come fossi capitato li per puro caso, ho chiesto cosa diavolo era successo, mi ha detto che la proprietaria dell’hotel e uno dei clienti erano stati trovati poco prima, feriti e in gravi condizioni, nello scantinato.
Ho subito pensato ad un errore, che l’obiettivo dovessi essere io considerando che, salvo pochissime occasioni, dalle dieci di sera in poi sono sempre nell’albergo e, per di più, che proprio in quel locale è sistemato il mio lettuccio.
Per una qualche ragione che non mi è chiara, Gilda e quell’altro poveraccio ci sono andati di mezzo.
Ho letto poi, ieri mattina e stamane sui giornali che il ferito è Alvaro, lo scrittorello. Che si è in parte ripreso tanto da essere dichiarato fuori pericolo e che, interrogato da lei in ospedale, ha detto di essere stato colpito alle spalle e di non ricordare altro.
Gilda, per ora, non ha potuto parlare, ma dubito molto che possa esserle di aiuto. Vedrà che anche lei è stata presa alla sprovvista e soprattutto in modo che non potesse individuare l’assalitore.
Come avrà capito, penso a un vero professionista.
Nutro infiniti sospetti (così come, ho altresì letto, voi inquirenti ne nutrite, naturalmente, anche nei miei riguardi) che vanno in mille direzioni ma, se davvero il mancato assassino si dovesse rivelare un sicario a pagamento, assai più specificamente in una che mi sembra quella maggiormente razionale.
Prima di parlargliene, mi permetta di dirle che io, con quanto accaduto, non c’entro un bel nulla.
Lo vedrà lei stesso, investigando come di certo farà.
Ero lontano, in centro città a quell’ora e posso dimostrarlo.
Ma, con ogni probabilità (gliel’ho già detto, penso ad uno scambio di persona e che l’obiettivo fossi io), ne sono la causa.
Come ovvio, tocca a lei raccapezzarsi, ma ritengo sia opportuno, anzi necessario da parte mia indicarle la pista che, avendo io escluso una vendetta nei miei riguardi per i miei trascorsi (sarebbe un andare ben sopra le righe, per quanto poco commendevoli possano essere stati, le assicuro) mi pare più probabile e per ciò stesso, per così dire, percorribile e che è quella dei due ex clienti da me sempre ritenuti gay.
Scrivo, come vede, “ritenuti” perché, adesso, ripensandoci, mi vado chiedendo se invece non fossero tutt’altro.
Se sotto l’apparente omosessualità, o, eventualmente, in aggiunta, non nascondessero chissà quali traffici che il mio intervento può aver mandato in malora.
Che so?
Potrebbero essere stati due trafficanti di valuta come di stupefacenti, due corrieri di un qualsiasi tipo di bene in qualche modo proibito o di losca provenienza…
Tipi del genere sanno a chi rivolgersi per la bisogna in casi come quello che ci riguarda.
Al momento in cui lei avrà modo di leggere questa lettera i loro dati anagrafici entreranno in suo possesso e potrà fare le indagini del caso.
Al fine di farle pervenire il più velocemente possibile queste righe e gli allegati, affido il plico che le contiene a una persona che mi ha promesso di consegnarle il tutto in serata.
Le telefonerò nei prossimi giorni,
Suo….’
Capitolo 3
Sono le nove di sera.
In un vagone semivuoto, viaggio verso sud.
Neppure io so bene dove sto andando.
A Napoli, domattina, deciderò se fermarmi o proseguire.
Ancora una volta mi allontano per non aver saputo ma soprattutto voluto affrontare una situazione complicata e contraria alla quale, forse, con un po’ di grinta, sarebbe stato possibile porre rimedio.
Chissà quando e se sarò mai capace di fermarmi da qualche parte pronto finalmente a sopportare le conseguenze del vivere.
Capitolo 4
Altre ventiquattro ore.
E’ mattina.
Una stazioncina.
Scendo dal treno e compro il Corriere della Sera.
Lo apro alla prima di cronaca e rimango senza parole.
Come sempre ho sottovalutato la forza dirompente dei sentimenti.
“IL MEDICO HA CONFESSATO, RESTA IL MISTERO DEL PORTIERE SCOMPARSO
Improvvisa svolta nelle indagini a proposito del duplice tentato omicidio all’hotel Splendor dello scorso 18 giugno.
Nell’ambito di una affollata e movimentata conferenza stampa, il giudice istruttore Berlucchi ha reso noto che, messo alle strette, il dottor Beltrame, medico dell’albergo, ha confessato di essere il solo responsabile dell’efferato delitto.
A guidarne la mano la gelosia.
A quanto dichiarato, Beltrame aveva da tempo una relazione con la proprietaria dell’hotel.
Negli ultimi mesi, l’amante, lo aveva praticamente scaricato.
Il medico aveva fatto in un primo momento buon viso a cattivo gioco.
Poi, chiamato allo Splendor per una emergenza pochi giorni orsono, aveva avuto modo di conoscere il rivale: il nuovo portiere.
La circostanza e l’evidente disinteresse nei suoi riguardi ribaditagli dalla signora Gilda ** l’hanno indotto ad agire.
Suo intendimento, l’eliminazione della stessa e del suo amante.
Entrato nell’albergo verso la mezzanotte e penetrato nello scantinato dove sapeva che il portiere normalmente dormiva, Beltrame, sconvolto altresì per avervi incontrato anche la stessa Gilda, ha sparato due colpi entrambi andati a segno.
Probabilmente a causa dell’oscurità, non si è accorto che l’uomo ferito non era il rivale.
Il giudice Berlucchi ha riferito che da subito i sospetti si erano concentrati sul dottore ma non ne ha spiegato i motivi.
La signora Gilda ha ripreso oggi conoscenza e si avvia fortunatamente alla guarigione.
Nulla a carico del portiere che si era dileguato subito dopo il fattaccio e di cui si sono perse le tracce.
Personaggio inquietante, del quale sono ignoti i trascorsi considerando che il nome fornito al momento dell’assunzione allo Splendor è risultato falso, è ricercato per essere ascoltato in qualità di testimone.
Su di lui la magistratura intende comunque indagare”.
Una ragione di più per restare uccel di bosco!
Compro il giornale locale e leggo le offerte di lavoro.
Cercano anche un portiere d’albergo.
Per carità, alla larga!